Il servizio agli altri apre una finestra sul mondo – Giancarlo e Cristina Maria Cursi

Un percorso formativo proposto ad adolescenti e giovani adulti alla #sfafnazionale2016

PAESTUM, 22 AGOSTO

Giancarlo Cursi, docente all’Università Pontificia Salesiana e formatore, e Cristina Maria Rossi, insegnate delle scuole elementari, sono una coppia di formatori e animatori familiari che da tempo seguono ragazzi, coppie, famiglie in difficoltà e non. Nella loro vita, centrale è la scelta del servizio come mezzo di crescita per sé e per gli altri in un percorso che non si limita alla singola crescita personale ma anche a quella collettiva. Un’attenzione particolare che piace avere a questa coppia romana è nei riguardi dei giovani adulti avendo una particolare premura alla loro crescita e affettività attraverso il servizio: “Siamo convinti che le esperienze di servizio siano molto formative sia sul piano personale che su quello relazionale – afferma Cristina – quindi abbiamo sperimentato che facendo dei campi di servizio con dei giovani, e magari anche con dei giovani fidanzati o in percorso di “progetto di vita”, aiuti molto a conoscersi interiormente”.

In questa nuova edizione della #sfafnazionale2016, al Santuario del Getsemani a Capaccio (Paestum), sono stati invitati dall’associazione Cerchi D’Onda onlus per animare e proporre un iter formativo (in conformità con la catechesi degli adulti sulle opere di misericordia) ai ragazzi appartenenti alla fascia delle scuola secondaria e universitaria, nella cooperativa “Stalker” ad Eboli. È una coop. sociale di tipo B (produzione/lavoro), con oltre il 50% di soci svantaggiati, che si occupa di fornire sostegno alle persone che soffrono di disagi e disturbi mentali.

Prendendo in considerazione i problemi attuali della famiglia descritti dagli esperti, i media e osservati dalla vostra esperienza, come può essere valorizzato il servizio del giovane in cammino per migliorare la sua realtà personale, familiare e sociale?

Giancarlo: Bisogna partire da un presupposto: i ragazzi di oggi, delle società europee, nascono in famiglie che stanno attraversando un momento faticoso. I ragazzi crescono, sempre più, in famiglie “multi-problematiche”, ovvero che vivono contraddizioni sia dall’interno che al di fuori dalla propria realtà.

Il giovane che si dona in un’esperienza di servizio è un volontario che vive in una dimensione che dovrebbe portare avanti il suo operato o con un aiuto esterno o con una carica personale, perché non sempre il giovane può vivere un’esperienza simile per via della famiglia.

Cristina: Decidere di mettersi a servizio del prossimo permette di aprire una finestra su un mondo per i ragazzi perché molte volte (e mi metto anche io) le famiglie tendono a proteggere, ovattare, coccolarli, a dargli il meglio e dall’altra non gli facciamo rendere conto di tante difficoltà e sofferenza e meccanismi che anche noi determiniamo con certi stili di vita per cui si creano tante sacche di povertà o nascondiamo tante fragilità che nel mondo esistono e… Se invece tutti noi ci aprissimo di più a questa accoglienza e sostegno per queste persone più fragili (considerando che potremmo trovarci noi stessi); i giovani possono crescere rendersi conto dei propri limiti e del proprio percorso da intraprendere al fine di diventare più forti e capaci nella quotidianità e nelle avversità della vita. Il servizio è una scuola di relazioni che permette di avere un impatto positivo anche per il ragazzo che vive in una situazione conflittuale con la propria famiglia. Il ragazzo, proprio perché fa da ponte con queste situazioni sociali, probabilmente può dare alla famiglia un’opportunità di fronteggiare le sfide che la società propone.

Secondo una ricerca ( riportata e citata in una tesi di baccalaureato da una collega il cui titolo è: “AUTOEFFICACIA GENITORIALE IN CRISI – Essere genitori di adolescenti“) condotta da Guizzardi per osservare il fenomeno dell’emerging adulthood (adulti in fase di sviluppo) in Europa, l’Italia è uno di quei paesi con un’alta percentuale di giovani che rimangono più tempo a casa (circa fino ai 28-29 anni )rispetto Inghilterra e Danimarca che approssimativamente lasciano i propri familiari verso i 21 anni.
Il servizio può essere una risorsa per uscire fuori da se stessi e anche dal “nido” costruito dalla tradizione familiare italiana (che a lungo andare possono andare incontro al fenomeno dei così detti “mammoni”)?

Cristina: Certo perché ti fa anche mettere alla prova, riconoscere le proprie capacità, permette di metterti in gioco! Intanto bisogna dire che il servizio ti rafforza perché permette di renderti conto di quanto sei fortunato, di quanti doni hai ricevuto e di quante difficoltà non hai potuto superare, e ti tempra perché ti rendi conto di essere “dono” per gli altri, di quanto puoi dare e di come possa rafforzare la tua autostima; permette di scoprire delle cose che magari prima non avresti mai pensato di aver potuto fare e che permette quindi di andare fuori da soli.

Giancarlo: Infatti quando è venuto fuori questo fenomeno della gioventù lunga, di questi ragazzi che escono di casa solo quando si sposavano e a 34 uscivano di casa in Italia, sono state fatte delle ricerche in europa riguardo i fattori che incentivano un’uscita positiva da casa e dei fattori delle uscite negative con forti conflittualità. Quelli che escono positivamente da casa lo fanno per due motivi: 1) nella famiglia si discute del mondo e della realtà attraverso un mutuo confronto e questo dà più sicurezza per muoversi verso l’esterno. La seconda cosa è che i figli siano valorizzati in quello che fanno. Quando ci sono questi due cose i ragazzi sono molto più attivi e coinvolti verso l’esterno sganciandosi in maniera più positiva verso l’esterno. Quando la persona si mette a servizio del prossimo, quindi, comincia a conoscere e interpretare il mondo e secondo dà valore sia alle esperienze che alle risorse. Si attua quel processo che se non si è attuato nella famiglia avviene tramite il servizio per poi avere, se si è pronti ad accoglierlo, una ricaduta da “me” al mio nucleo di provenienza, ovvero la famiglia!

Con i ragazzi che stati animando in questo campo qual è l’obiettivo della vostra formazione e quindi l’invito al servizio?

Giancarlo: Il nostro primo obiettivo è quello di accompagnare i giovani, questo processo permette di educare e di raggiugere nel tempo la propria realizzazione umana-integrale, così facendo diamo un piccolo contributo tra le tante proposte delle agenzie educative. Oggi l’educazione delle persone non si può più pensare solamente ad un’unica agenzia educativa, con il grande obbiettivo di realizzare la persona nella sua integralità; ogni realizzazione è un progetto speciale, unico, irripetibile e  per questo motivo diamo una mano ai nostri ragazzi a capirsi e capire di più i propri doni, le proprie dotazioni affinché possano, con questi, avere una marcia in più riguardo a come investire le proprie qualità per capire come è stata disegnata la propria vocazione.

Cristina: In più c’è il collegamento con le opere di misericordia, tema principale di questo campo, insieme ai 5 verbi uscire; annunciare; abitare; educare;  trasfigurare; insegniamo a provare nel farli sperimentare in concreto.

Autore:  Marco Diella